Ecco il secondo capitolo della storia di Melanie ..... sono consapevole che è un pò lungo, mi spiace, spero comunque che vi piaccia. :)
Capitolo 2
Esco di casa che sono le otto. Fuori è già buio e le luci dei lampioni
rischiara i marciapiedi agli angoli della strada.
Vivo in un piccolo paese fuori città come
Darwin ed Alisa. Molti di noi devono viaggiare
in pullman ogni giorno per andare a scuola visto che nei paesi non ci
sono licei.
Non mi è mai dispiaciuto vivere così,
lontano dal traffico soffocante e dalla confusione che riempie l’aria delle
grandi città. Nel mio paese c’è calma, silenzio e pace. Conosco il nome e
l’albero genealogico di ogni singolo concittadino e loro conoscono il mio. La
sera ho la certezza di poter attraversare qualunque strada di questo paese
senza correre alcun pericolo.
La giornata è passata più lentamente di
quanto avesse creduto possibile, ma tutto sommato sono piuttosto soddisfatta di
come è andata. Certo, mi dispiace per aver perso l’amicizia di Darla. Eravamo
amiche da prima del liceo, quando si era trasferita da un'altra città, ma ormai
da diverso tempo ci eravamo allontanate l’una dall’altra .
Questa mattina, quando l’ho incontrata, ho
avuto la sensazione che volesse dirmi qualcosa, forse spiegarmi cosa ci avesse
realmente separato. Secondo mia madre voleva solo esprimere la sua solidarietà
per ciò che ci è capitato. Io credo che volesse dirmi qualcosa di più, ma forse
mi sto solo illudendo che Darla provi ancora interesse per me.
Una follata di vento gelido mi scompiglia i
lunghi capelli, mentre passo davanti a una fila di case a due piani con il
giardino. Sbuffando cerco di toglierli dagli occhi.
La strada è deserta anche se le luci delle
case sono accese e in lontananza si sente il rumore di una serranda che viene
chiusa. Non c’è traffico a quest’ora, ma in lontananza si sente il ronzio delle
macchine che passano. Giro l’angolo verso il parco dove si trova la casa di
Darwin. A quel punto sento dei passi alle mie spalle.
Il mio cuore accelera il suo battito.
Riconosco la famigliare morsa che mi stringe il petto quando ho la sensazione
che qualcosa di brutto debba succedere. Lentamente mi volto cercando di farlo
sembrare un gesto spontaneo, quasi avessi sentito qualcuno chiamarmi. Alle mie
spalle scorgo due figure longilinee che camminano in silenzio.
Continuo a camminare cercando di non farmi
prendere dal panico. Sono piuttosto nervosa ultimamente e c’è sempre la
possibilità che mi stia sbagliando. La morsa però si fa più stretta e quasi
involontariamente mi volto a guardare alle mie spalle. Le due figure sono più
vicine adesso e anche il loro passo è accelerato rispetto a poco fa.
La strada mi sembra più buia adesso e la
mia certezza che non possano esserci pericoli in un paesino come questo non è
più così salda. Inizio a correre infilandomi in una via secondaria senza
smettere di controllare se vengo inseguita.
Dopo poco la strada è di nuovo deserta.
Mi fermo con il fiatone e il cuore che
batte furiosamente <<Che stupida>> mi dico <<Non mi stavano
seguendo>>. Eppure c’era qualcosa di strano nel modo in cui camminavano,
senza parlare. Scuotendo la testa recupero un po’ di calma e mi volto per riprendere la strada
intenzionata a non tornare indietro.
La prima cosa che vedo sono due occhi
turchesi che mi scrutano da distanza ravvicinata. Un grido risuona nel aria
prima ancora che mi renda conto che sono io ad averlo prodotto. Indietreggio
rischiando di perdere l’equilibrio e cadere e metto a fuoco un ragazzo alto e
snello che mi sorride divertito.
<<Aspetta>> dice allungando una
mano per trattenermi. Vado a sbattere contro qualcosa e una dolorosa scossa di
energia mi attraversa annebbiandomi la vista.
Alle mie spalle c’è un altro ragazzo, anche
lui alto e magro; i suoi occhi verdi come foglie appena nate mi scrutano privi
di emozione.
<<Non volevamo spaventarti. Sembravi
confusa … tutto bene?>> dice con voce bassa e disinteressata. Mi sento
tutta dolorante, l’energia che mi pulsa dentro con forza e la gola serrata da
una morsa ferrea che non mi permette di parlare. Tutto quello che sento di
poter fare è fuggire. I volti dei due ragazzi sono pressoché identici e la loro
semplice presenza risuona come una minaccia dentro di me. Le mie gambe si
muovono da sole, il mio corpo e la mia mente si rifiutano di rispondere al mio
controllo e agisco in base a una volontà non mia.
Percorro tutta la strada fino a casa di
Darwin senza fermarmi e senza osare guardarmi alle spalle. Non riesco a sentire
oltre i battiti forsennati del mio cuore, del suono disperato dei miei passi e
il bruciare intenso della gola al passaggio dell’aria assorbe tutta la mia
concentrazione.
Arrivo al parco e mi dirigo verso le case
che lo circondano. Spalanco il cancello della casa di Darwin con un gran
fracasso, tanto che il vecchio gatto che da anni dorme sul muretto della casa
si sveglia miagolando indignato. Busso freneticamente alla porta guardandomi
indietro e anche se non vedo niente, non riesco a tranquillizzarmi.
Darwin apre la porta sorpreso
<<Eccomi, non c’è bisogno di …>>. Non gli lascio finire la frase
che sono nelle sue braccia. <<Qualcuno mi stava seguendo! Due ragazzi.
Oddio erano dietro di me e non mi lasciavano>> ansimo. Darwin mi guarda
dall’alto, allunga il collo per vedere fuori <<Resta qua>> dice
uscendo in ciabatte sul marciapiede e scrutando la strada in entrambe le
direzioni.
Darwin è molto alto, all’incirca un metro e
settanta e anche se non è molto muscoloso è più robusto dei ragazzi che mi
seguivano, o almeno mi sembra. Ritorna scuotendo la testa, i capelli scuri
scompigliati come se si fosse appena svegliato <<Non c’è nessuno in
strada. Sei sicura che ti seguissero?>>
Non mi ero accorta di tremare, ma quando
Darwin mi poggia le mani sulle spalle capisco che è così. Il ragazzo dagli
occhi verdi aveva detto qualcosa, non riesco a ricordare bene cosa, ma ora
comincio a credere di aver esagerato. Come avevano fatto ad arrivare prima di
me in quella strada se erano alle mie spalle?
<<Mi seguivano. Mi hanno anche
fermata e avevano entrambi dei cappucci sulla testa … io …>> mi blocco.
Non posso dirli della sensazione di pericolo. Conosco Darwin da tutta la vita e
non c’è nulla che lui non sappia di me. E’ stato al mio fianco anche durante
questo mese terribile. Eppure nonostante tutto ciò che condividiamo non gli ho
mai detto delle strane sensazioni che provo, anche se credo sospetti qualcosa.
Vedendomi tacere, Darwin mi da un buffetto
affettuoso sulla guancia <<Okay. Comunque credo che tu gli abbia seminati
perché là fuori non c’è nessuno. Quindi smetti di piangere ed entriamo>>.
L’ho guardo sorpresa, sfregandomi la
guancia con la mano cancello le lacrime che non mi ero accorta di aver versato,
Ho avuto tanta paura da non accorgermi di nient’altro.
Imbarazzata entro in casa. Non serve che mi
indichi dov’è il bagno, conosco questa casa quanto la mia. Quando l’ho
raggiungo nella sua camera sta giocando a play. Darwin è un appassionato di
videogiochi oltre che di sport e manga. La sua camera è piena di scafali di manga
e giochi per pc, wii e play, tanto che molti sono accatastati per terra. I muri
sono ricoperti da poster raffiguranti giocatori di football o personaggi di
anime giapponesi.
<<Alisa sta arrivando con le
pizze>> annuncia seguendo con il joystick il movimenti del personaggio
nello schermo. Mi siedo al suo fianco
incrociando le gambe <<Bene. Sei sicuro che i tuoi non protesteranno per
la nostra presenza?>>
<<Certo che no. Non ci sono nemmeno e
non torneranno prima dell’una o due di notte. Possiamo fare quello che
vogliamo, compreso organizzare una festa stile American Pie>>.
Prendo il joystick e inizio a giocare con
Darwin in attesa dell’arrivo di Alisa. Un ora dopo arriva con le pizze calde e
una scatola di birre.
<<Hai per caso visto qualcosa di
strano fuori?>> chiede Darwin sistemando tutto sul tappeto e sedendo in
circolo con noi. Prese un pezzo della sua pizza preferita con il doppio strato
di mozzarella filante. Alisa riflette un attimo <<No, perché?>>
<<Mel era certa di essere
pedinata>>
<<Io ero pedinata>> replico
prontamente. Darwin mi lancia un occhiata che dice chiaramente che non ci
crede, prima di aggiungere <<Ho sentito che quando si è sotto pressione è
normale avere allucinazioni>>.
<<Nessuno ha allucinazioni a parte te
spilungone>> dice Alisa con una smorfia e poi facendomi l’occhiolino. Le
sorrido riconoscente. Non siamo amiche da tanto tempo come con Darwin, ma il
nostro legame è comunque molto saldo. Si è trasferita in un paese qui vicino
quasi tre anni con i suoi genitori. Alisa ha gli occhi nocciola di sua madre e
il suo stesso viso delicato, ma ha ereditato i ricci capelli scuri del padre di
colore.
Darwin stappa una bottiglia di birra e la
solleva fra noi <<Allora, visto che siamo in vena di complicità, propongo
un brindisi per la nostra riunione dopo tanto tempo, qui, stasera, dopo quello
che è stato un mese lunghissimo>> annuncia sorridendo. Io e Alisa
solleviamo le nostre birre imitandone il gesto solenne.
<<Oggi ricomincia la nostra
tradizione di sfide a videogiochi, di bevute e di uscite. Soprattutto
rinforziamo il nostro legame ancora una volta ed esorcizziamo il dolore e la
sofferenza di questo mese!>> dice sorridendo fiducioso. Alisa si sporge
in avanti con gli occhi scintillanti <<Non scordare che noi ci siamo per
te, Mel. Qualunque cosa succeda dobbiamo sempre stare insieme>>.
Brindiamo e beviamo un lungo sorso,
sollevata di avere un sostegno simile dalla mia parte.
<<Avete pensato a come vestirvi al
ballo?>>chiede senza preavviso Alisa. Sussulto confusa. Il ballo. Certo,
mi ero scordata del ballo di Halloween. Fino all’anno scorso ero a capo dell’organizzazione eventi della scuola, ma
dopo i recenti sviluppi mi resi conto di non avere alcuna voglia di
parteciparvi.
Ogni anno io e Darla ci sfidavamo per
vedere chi di noi avrebbe indossato il migliore costume, adesso che non eravamo
più amiche non aveva senso concentrarsi tanto sulla scelta di un costume
fantastico.
<<Io non dico nulla. Sarà una
sorpresa>> esordisce Darwin poggiandosi al suo letto con l’aria di chi sa
quel che fa. Per nulla soddisfatta, Alisa prende un altro boccone di pizza e
chiarisce <<Io so cosa sarò. Ho deciso mesi fa ed è fantastico>>
<<Una nana? Perché nel caso hai la
mia approvazione. Staresti molto bene come nanetta>> . A volte, quando ha
questi momenti d’infantile eccitazione, mi ricorda terribilmente la mia
sorellina, Elena che ha cinque anni.
<<Mi sembra un buon costume>>
dico accondiscende.
<<E tu da cosa ti vesti?>>
<<Non lo so. Forse non vengo. E’
troppo tardi per aiutare a organizzare e poi non ho un costume per la festa …
ne un accompagnatore>> spiego giocando con una ciocca dei miei
lunghissimi capelli scuri. Darwin inarca entrambe le sopracciglia <<Che
problema c’è, ci sono io a farti d’accompagnatore. E per quanto riguarda il
vestito … sei un tipo creativo e ti verrà in mente qualcosa>>.
<<Ma tu non odiavi queste
feste?>> chiede Alisa sorpresa. <<Si>> conferma Darwin
<<Ma verrò lo stesso>> i suoi occhi cercano i miei. Lo vedo cercare
disperatamente di sorreggere il mio sguardo per più di tre secondi, ma per
quanto ci provi finisce comunque per abbassarlo con un senso di delusione. Da
quando ho memoria solo una persona ha saputo guardarmi negli occhi senza
sentire il bisogno di distogliere lo sguardo.
<<So quanto tu, Melanie, adori queste
cose. Ti farò compagnia>> dice piano. Lo ringrazio e in silenzio finiamo
di mangiare per poi tornare a giocare e ridere. Non parliamo di nulla
d’importante o di sensato ne nessuno di noi fa più parola dei ragazzi che mi
hanno seguito.
A mezzanotte io e Alisa prendiamo i
cappotti e salutiamo Darwin prima di andarcene.
La macchina di Alisa è parcheggiata proprio
davanti al cancello nero della casa del nostro amico. E’ un vecchio pick-up
arrugginito che si è guadagnata lavorando part-time in un bar. Nonostante le
dica sempre che è un cartoccio ne va talmente fiera da averli dato un nome:
Beck.
Esito sul marciapiede guardando le poche
macchine che attraversano la strada poco illuminata a tarda notte. Le loro
risate risuonano nell’aria con l’abbaiare di qualche cane. Il vecchio gatto che
da anni dorme sul muretto della casa di Darwin non mi degna nemmeno di uno
sguardo.
<<Aly?>> chiamo dopo un attimo
di esitazione. Lei si ferma con lo sportello aperto e l’aria interrogativa
<<Si?>>.
<<Mi dai un passaggio a
casa?>>.
Alisa si volta per guardarmi meglio,
sorpresa dalla mia domanda. Non ho mai accettato nemmeno uno dei passaggi che
mi ha offerto da casa di Darwin alla mia. Mi è sempre sembrato sciocco venire
accompagnata da qualcuno per le vie del mio paese solo perché era notte. Sin da
piccola ho sempre avuto fiducia che nella notte nulla potesse farmi del male o
spaventarmi. Forse sono stata l’unica bambina che non ha mai pensato di trovare
un mostro sotto il suo letto o dentro l’armadio, l’unica ha non avere mai paura
dell’oscurità.
Oggi però è diverso. Ho paura.
Irrazionalmente penso di poter trovare qualche mostro nelle ombre della strada
o forse d’incontrare ancora quei due ragazzi.
Ripresasi dal momento di stupore mi sorride
<<Ma certo. Vieni, non mi costa nulla>>.
Senza aggiungere altro salgo nel posto del
passeggero con un senso di profonda inquietudine dentro.